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Il Borghese – febbraio 2016

René Binet

Socialismo nazionale contro marxismo

Thule Italia ed. – 2016

Pp. 151 – €20,00

La temperie della seconda guerra mondiale fu una lotta ideologica prima che militare. Alle due parti politiche contrapposte, l’Asse e gli Alleati (fra i quali ultimi si ritrovavano le compagini che incarnavano il materialismo marxi­sta e quello capitalista), aderirono una buona parte di europei. Le motivazioni furono molteplici, come hanno dimo­strato molti storici. E così, negli schie­ramenti militari si ritrovavano queste realtà frutto di scelte non sempre facili per gli europei che furono coinvolti nella guerra. Coloro che aderirono alla resistenza scelsero gli Alleati, quanti passarono dalla parte dell’Asse, invece, seguirono un percorso meno mediato, più difficile. Fra questi, coloro che era­no militanti di gruppi di destra, vicini ideologicamente ai fascismi europei la scelta per l’Asse fu consequenziale. Ma fra questi ultimi una parte dovette pri­ma effettuare una revisione critica delle proprie idee. Si tratta degli intellettuali e dei militanti che da anni apparteneva­no alle avanguardie socialiste, alcuni addirittura comunisti e sindacalisti. Eppure aderirono ai fascismi. Perché? E’ una realtà molto interessante ma relativamente poco indagata.

Ora, la casa editrice Thule Italia ha pubblicato un volume di René Binet che spiega molto bene le fasi di questi passaggi e come l’evoluzione culturale e politica di certi militanti da un sociali­smo marxista e materialista a un sociali­smo solidarista, antimaterialista e vicino al nazionalismo abbia plasmato le nuo­ve coscienze europee con lo scopo di realizzare un Nuovo ordine europeo.

Il merito di questo libro (tradotto dal francese da Stefania Labruzzo e con un’introduzione di Maurizio Rossi) è proprio quello di offrire testi dell’epo­ca e comunque di protagonisti o testi­moni di certi periodi storici contribuendo a una definizione di certe realtà e, nel caso in questione, di certe scelte. Per troppo tempo queste realtà basilari per comprendere certi fenomeni sono stati poco indagati o addirittura liquida­ti in maniera superficiale o di parte.

Ma chi era René Binet? Nato nel 1913, negli anni Trenta fece parte della Jeunesse communiste dalla quale venne espulso per revisionismo e aderì alla IV Internazionale trotskista fondando nel 1936 il Partito comunista internaziona­lista per poi passare al Partito operaio internazionalista

Partecipò alla seconda guerra mon­diale e fu fatto ben presto prigioniero dei tedeschi. Durante la prigionia ebbe modo di riflettere e confrontarsi con i tedeschi. Passò così al fascismo, stesso percorso di capi socialisti come Jac­ques Doriot, Marcel Deat ecc. Parteci­pò alla guerra con la divisa tedesca. Terminato il conflitto dette vita a nu­merose riviste e piccoli movimenti che ebbero tutti vita effimera. Propugnatore di una politica di socialismo nazionale, fu tra i fondatori a Zurigo del Nuovo Ordine europeo e coordinatore di una casa editrice. Morì il 16 ottobre del 1957, giorno del suo compleanno, in un banale incidente stradale. Aveva 44 anni.

Binet scrisse vari libri. Socialismo nazionale contro marxismo fu scritto in due periodi differenti: durante la prigio­nia tedesca e durante la prigionia in Francia dove era stato condannato per collaborazionismo. Il libro, agile e scritto in una prosa diretta e semplice, analizza alcuni aspetti ideologici cru­ciali in quel tempo: la funzione dell’uo­mo nella società, il marxismo come capitalismo di Stato che espropria i cittadini di ogni potere, i concetti di libertà ed eguaglianza, la tutela del lavoro come espressione dell’impegno dell’uomo contro il concetto liberale e marxista di lavoro-merce, il fattore biologico nella società e l’importanza della difesa della propria stirpe, la tec­nica, il comunismo sovietico. Un volu­me interessante che ripercorre i temi al centro del dibattito ideologico negli anni Trenta-Quaranta, che offre una lettura alternativa delle vicende del tempo e delle scelte a favore dell’Euro­pa. La strenua lotta condotta da Binet fino alla fine dei suoi giorni aveva lo scopo di passare alle generazioni a venire un testimone, un’indicazione per reagire a quello che era il duopolio Usa -Urss, capitalismo di Stato marxista da un lato e capitalismo liberale dall’altro. Due nemici dell’Europa.

MANLIO TRIGGIANI

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Il Borghese – settembre 2016

Savitri Devi

Oro nel crogiolo

Thule Italia ed., 2015

Pp. 341-€ 30,00

Ordini: thule@thule-italia.org

La Germania distrutta, le città fumanti, le fabbriche bombardate. Uno scenario unico per comprendere dove la storia, la nuova storia, stava virando. Nel 1947-’48 Roberto Rossellini maestro del cinema neorealista girò in Germania gli esterni di Germania anno zero, film che si avvaleva di immagini fin troppo reali, pano-rama di una nazione distrutta realmente, martoriata dai continui bombardamenti degli alleati. Il film fu di grande impatto nel sottolineare non soltanto le rovine che c’erano ancora nelle strade a due anni di distanza dalla fine della guerra ma anche le rovine morali (prostituzione, vagabondaggio, carenza di cibo, gente senza abitazione ecc.).

Nello stesso anno in cui Rossellini girava questo film arrivò nella nazione tedesca Savitri Devi, scrittrice di origine greca, per visitare la Germania al termine del conflitto mondiale. Girò per varie città per vedere, documentare, per scrivere un libro di testimonianze e con questa motivazione, a Parigi, aveva ottenuto dall’Ufficio degli affari tedeschi il permesso per entrare nelle zone d’occupazione. Savitri Devi, con una scrittura semplice e diretta parla, come testimone oculare, di quei mesi, delle rovine, dei colloqui avuti con tanti tedeschi e tedesche. Incontri, confessioni narrate a mezza voce, con timore, ma soprattutto descrive ciò che gli alleati, vinta la guerra, stavano attuando in Germania. Vennero smantellate le fabbriche tedesche e trasportate in Unione sovietica, furono abbattuti vasti boschi per inviare la legna in altre nazioni. Gli alleati provvidero a controllare con attenzione la tipologia e la quantità della produzione delle poche fabbriche tedesche rimaste produttive. Un contingentamento che serviva, peraltro, a evitare che si gettassero le basi per uno sviluppo futuro dell’economia. Una serie di iniziative che fanno capire come il cosiddetto Piano Morgenthau, che aveva lo scopo di depauperare la nazione tedesca e non farla crescere economicamente più di tanto, aveva avuto una sua applicazione iniziale. Non soltanto: altrettanto importanti, come testimonianza a caldo del modo in cui si viveva nella Germania dell’immediato dopo-guerra, i racconti di uomini e donne tedeschi su quello che gli alleati, a guerra finita, avevano riservato alla popolazione. Via via, con il tempo, tutti questi racconti che Savitri Devi trascrisse nel 1947, sono stati riportati da storici ufficiali come Guido Knopp, James Bacque, Giles Mac-Donogh e altri. Bombardamenti a guerra quasi finita su cittadine dove c’era soltanto la popolazione e nessun distaccamento militare o depositi, le torture, le privazioni, l’uccisione di un milione dì soldati tedeschi nei campi di concentramento americani, a guerra finita, come lo storico canadese Bacque ha dimostrato con documenti alla mano. Per non parlare dei soldati prigionieri trasportati in Siberia e utilizzati nei lavori forzati per anni.

Un libro che in presa diretta – sebbene, sia chiaro, con una visione parziale – mostra le tragedie della guerra contro l’Asse e la politica di occupazione osservata, a guerra conclusa, dagli alleati verso la popolazione tedesca. Savriti Devi interpretò questa realtà non come la fine ma come un periodo difficilissimo che preludeva a un nuovo inizio. Come un processo di fuoco, di purificazione, utile a separare, come avviene in certe operazioni di alchimia, il metallo volgare dall’oro, l’oro che poi resta nel crogiolo.

MANLIO TRIGGIANI

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Il Borghese – marzo 2016

Nobushige Hozumi

L’adorazione degli Antenati

Ed. Thule Italia, Roma – 2016

Pp. 115 – €18,00

La pubblicazione di documenti di un certo periodo storico rappresenta un servizio alla verità: si offre una testimonianza diretta, scritta da per­sone presenti al momento dello svol­gersi dei fatti. Il documento potrebbe risentire del clima dell’epoca, è vero, ma anche consentire una lettura degli avvenimenti senza troppe interpreta­zioni, mediazioni e con dettagli poco conosciuti. Così gli avvenimenti sono restituiti come furono pensati e per­cepiti quando avvennero.

La pubblicazione dei testi di Ha­nayama e di Hozumi consentono di disporre di elementi di giudizio più circostanziati su avvenimenti e tradi­zioni che altrimenti sarebbero stati conosciuti in maniera poco chiara e non esaustiva.

Il volume di Hanayama, ripubbli­cato in occasione del sessantesimo anniversario dell’avvio del «processo di Tokyo» (celebrato in base al codi­ce penale sovietico che prevedeva la validità penale retroattiva della legge nel giudicare i «reati controrivoluzio­nari») apparve per la prima volta in italiano nel 1954 per i tipi di Bocca con il titolo La via della pace e poi nel 1975 per i tipi del Circolo D’An­nunzio di Grosseto con il titolo La via dell’eternità. Questa terza edizione è da salutare come la riproposizione di un documento di grande interesse. Hanayama fu un grande studioso del Buddhismo giapponese medievale, della scuola Jodo, e insegnò nell’Uni­versità di Tokyo. Seguì il culto budd-hista nella veste di sacerdote. Nell’immediato dopoguerra frequen­tò il carcere di Sugamo, a Tokyo, come cappellano dei detenuti giappo­nesi, fra i quali vi erano alcuni reduci della seconda guerra mondiale, accu­sati di atrocità e in procinto di essere giudicati dal Tribunale militare inter­nazionale.

Per tutto il tempo Hanayama svolse il compito di cappellano e scrisse e pubblicò alcuni estratti del diario che teneva quotidianamente, e quindi i rapporti che intratteneva con i soldati e con i politici incriminati fino al giorno della loro esecuzione, il 23 dicembre 1948.

Il libro uscì nel 1949 con il titolo La scoperta della pace – Ricordi di vita e di morte di Sugamo, ed ebbe un grande successo di critica e di pubblico. Il volume fu di grande impatto sul popolo giapponese in quanto molto importante dal punto di vista documentario e storico, visto che le noti-zie e gli scritti erano di prima mano ma emergeva anche l’importanza del dato umano, del coraggio e del senso dell’onore che questi militari mostra-vano con una calma sovrumana. Il libro fu presto pubblicato in varie lingue e questa edizione è tratta dalla traduzione in francese realizzata dallo scrittore francese Pierre Pascal (1909 -1990).

I giapponesi, è noto, nel mescolare tecnica e tradizione sono sempre stati fedeli alla propria terra, alle proprie radici, consapevoli che ogni generazione rappresenta un frammento della storia di un popolo. Per questo, Nobushige Hozumi (1855-1926) giurista, docente all’Università imperiale di Tokyo, scrisse un trattato, a metà fra ricerca storica e giuridica, che contribuì a spiegare l’importanza della Tradizione per il popolo nipponico. L’adorazione degli Antenati è un libro che illustra bene questa tradizione interiore, propria a tutto il popolo giapponese che, nonostante abbia subito forti influssi dal Buddhismo, dallo Shintoismo e dalla civiltà europea ha sempre costantemente mantenuto la memoria degli antenati mentre, come spiega il giurista dell’ateneo di Tokyo, in molte nazioni questa tradizione già era andata perduta o comunque non era carica di valori come in Giappone. Pone al centro di una comunità il concetto di famiglia che nutre profondamente il sentimento dell’unità di sangue e l’adorazione degli antenati come collante per rinforzare il senso di identità e di appartenenza. Hozumi pone proprio al centro della vita sociale proprio questa adorazione, sostanziata da una serie di precetti e di cerimonie che testimoniavano l’estensione della simpatia e dell’amore dei giapponesi verso parenti lontani, mai conosciuti, di altre epoche. Nel dettaglio Hozumi spiega il senso che assume l’adora-zione se rivolta agli antenati di tribù, agli antenati di famiglia, ciò che la legge nipponica prevedeva nell’era Meji (i 44 anni di regno dell’Imperatore Mutsuhito che vanno dal 23 ottobre 1868 al 30 luglio 1912) e l’evoluzione   della   società giapponese in merito al concetto di famiglia, matrimonio, popolo, l’adozione, la successione ecc. Il libro si conclude con il testo della conferenza sul tema «Il Giappone e noi» che il professor Walther Wüst, rettore dell’Università di Monaco, tenne nel suo Ateneo il 30 aprile del 1942, in occasione della festa di fondazione della Società te-desco-nipponica.

 

MANLIO TRIGGIANI

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Il Borghese – gennaio 2016

Savitri Devi

Il fulmine e il sole

Editrice Thule Italia

Pp. 439 – €35,00

Ricordi e riflessioni di un ‘ariana

Editrice Thule Italia – 2015

Pp. 359 – €30,00

La vita di Savitri Devi Mukherji (1905-1982) è stata densa e particola­re. Nata a Lione da famiglia greca (il suo nome, prima di sposare un digni­tario indiano, era Maximioni Portas) divenne nel corso degli anni molto influente negli ambienti dell’ecologia profonda e dei diritti degli animali. Di religione induista, che lei accomu­nava per certi versi a quella pagana, durante la seconda guerra mondiale svolse attività di intelligence a favore del Terzo Reich. Per tutta la vita de­dicò tempo e spazio agli studi tradi­zionali e fu convinta che Hitler fosse un avatar di Visnu, importante dio della religione induista. Riteneva che il Terzo Reich avrebbe contribuito alla fine del Kali Yuga, favorendo quindi il ritorno dell’età dell’oro annunciata dalla Bhagavad Gita, testo sacro indiano. Credeva in una sorta di panteismo che si estendeva alla natura, come molti antichi greci. Per lei il cosmo era composto soltanto di energia divina. Scrisse molti libri fra i quali Ricordi e riflessioni e Il fulmine e il sole (Thule Italia; ordini: thule@thule-italia.org; info: 340.4948046) rappresentano due fra i migliori e più completi del suo pensiero.

Savitri Devi viaggiò molto fra i continenti curando sempre, come detto, i suoi maggiori interessi: l’esoterismo, l’ecologia profonda e i diritti degli animali. Negli anni Settanta divenne punto di riferimento per alcuni movimenti new age e gruppi esoterici.

Nel 1932 viaggiò in India per conoscere la terra degli antichi indoeuropei e scoprì le opere di G. B. Tilak, che ebbero una forte influenza su di lei. Rimase per anni nel subcontinente indiano che percorse in lungo e in largo entrando in contatto con maestri, intellettuali, studiosi di esoterismo. Conobbe, fra gli altri, il capo dei nazionalisti, Chandra Bose che gli presentò Sri Krishna Mukhereji, un dignitario che in seguito divenne suo marito.

Per Savitri Devi le idee della nuova Europa erano innanzitutto impregnate di una visione religiosa dell’esistenza, una sensibilità che spinge all’osservanza delle leggi della natura e delle leggi divine.

Nei   due   volumi   recentemente pubblicati dall’editrice Thule Italia, Savitri Devi mette in luce i collegamenti fra le idee dei movimenti politici del Novecento e la visione religiosa propria della Tradizione e quindi ritiene che il nazionalsocialismo sarebbe una via esoterica tradizionale che contiene in sé una via di perfezionamento. Tesi ripresa in parte, anni dopo, da Louis Pauwels e Jacques Bergier.

Certo si tratta di una interpretazione del movimento politico nazista che può lasciare interdetti: due concetti distanti fra loro come il partito Nsdap e la Tradizione insieme, sebbene negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso queste teorie abbiano riscosso in certi ambienti un qualche successo. Ma Evola, in Note sul Terzo Reich (1964), marcò bene la differenza fra i due temi sottolineando giustamente anche l’inconciliabilità di vari aspetti.

Ciò non toglie che Savitri Devi effettuò un’analisi storica in Il fulmine e il sole, libro la cui stesura impegnò l’autrice per ben otto anni. Analizzò tre personaggi storici come il faraone Akhenaton, Gengis Khan e Adolf Hitler come momenti successivi di varie età vissute sempre all’interno del Kali Yuga. Definì Akhenaton «l’uomo sopra il tempo», paragonandolo al sole, uomo che lottò contro la sua epoca,   Gengis Khan come «l’uomo nel tempo», come forza distruttiva che come un fulmine distrugge tutto e poi Hitler «l’uomo contro il tempo» che unireb­be – secondo Savitri Devi – idealismo e forza e volontà.

Insomma, per Savitri Devi è im­portante combattere contro la propria età buia. Ricordi e riflessioni è invece l’autobiografia scritta fra il 1968 e il 1971, nella quale espose la propria esistenza e la propria visione del mondo. Al centro, «la ricerca dell’o­riginaria perfezione dei popoli» che, millenni prima, l’avevano preceduta.

Manlio Triggiani

 

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Il Borghese – novembre 2015

Johannes Öhquist

Il nazionalsocialismo

Editrice Thule Italia – 2013

Pp. 341 – €30,00

 

«Gli uomini che nel 1918 erano usciti dalla trincee sapevano che dovevamo perdere la guerra per guadagnare la nazione», scrisse Ernst von Salomon ne I proscritti (Baldini e Castoldi), libro notevole e imprescindibile per comprendere la temperie della Prima guerra mondiale dal punto d’osservazione tedesco, l’epopea dei Corpi Franchi con le battaglie nella Ruhr e la decadenza della repubblica di Weimar con il corollario degli esiti umilianti e disastrosi del Trattato di Versailles.

E la nascita e il successo del nazionalsocialismo furono interpretati come reazione del popolo tedesco al Trattato di Versailles, alle pesantissime sanzioni e perdite di porzioni rilevanti di territorio. A coagulare questo «sentire» fu anche l’esperienza del fronte, come Ernst Jünger ha spiegato bene in La guerra come esperienza interiore (Piano B edizioni) e Nelle tempeste d’acciaio (Guanda editore).

Che cosa fu per molti tedeschi e tedesche usciti dalla guerra il nazionalsocialismo, che cosa realizzò una volta al potere questo movimento che si richiamava al socialismo nazionale e germanico, quasi a inverare le analisi di Werner Sombart, soprattutto qual era la visione del mondo che animava dirigenti, militanti, è importante per definire l’oggetto della ricerca storica e politologica e per comprendere le dinamiche interne di certi sviluppi ideologici.

Di là delle opere di propaganda, utili per comprendere la psicologia interna dei movimenti politici, le opere di sintesi pubblicate nel periodo storico affrontato assolvono una funzione davvero importante e chiarificatrice: mettere a fuoco il movimento restituendo il clima dell’epoca, le attese e le convinzioni della base, il motivo di certe scelte e in senso della lotta politica. Spesso, scrivendo un libro nel periodo in cui si svolge la storia del movimento, la ricerca tiene conto anche di dati che provengono dall’attualità, dal vissuto di un popolo, da fatti di cronaca che magari non sono considerati a distanza di decenni.

E’ il caso del libro Il nazionalsocialismo di Johannes Öhquist (1861-1949), storico, etnologo, saggista finlandese che visse molti mesi in Germania nel periodo in cui era al potere il Terzo Reich, studiò la letteratura storica e politica di quel periodo, seguì lo sviluppo del movimento nazionalsocialista e analizzò sul terreno la traduzione delle idee in pratica. Questo libro, molto bel documentato, uscito per la prima volta in Germania nel 1941, con il titolo Il Reich del Führer, parte dall’analisi delle conseguenze della Prima guerra mondiale e introduce al clima che vivevano i veterani di guerra, i reduci dal fronte ma anche la popolazione tedesca. Una condizione molto problematica. Il libro poi analizza la figura di Adolf Hitler sin dagli anni della formazione e la questione ebraica in Germania. La quarta parte è forse la più interessante, oltre a essere la più ampia del libro. Descrive la politica interna del nazionalsocialismo e l’approccio al welfare: dall’assistenza sociale all’a-spetto sindacale, dalla politica agraria a quella della salute, alla scelta ecologica, riprendendo qui un tema tipico dei Wandervogel. Non mancano analisi sull’economia, l’istruzione, la politica relativa alle arti e alla scienza. Un panorama esaustivo di quanto, in sei anni, il nazionalsocialismo aveva realizzato. Un testo interessante che avrebbe meritato però uno studio introduttivo che lo collocasse nel suo tempo sia per definire le linee interpretative del fenomeno politico sia per paragonarlo alla critica storiografica e politologica contemporanee.

 

MANLIO TRIGGIANI