Ringraziamo RAISTORIA per la citazione del Diario 1942 pubblicato dalla nostra casa editrice – assieme ai diari già da noi pubblicati relativamente al 1938, 1939-’40, 1941 e altri ne seguiranno (infatti sono stati nel frattempo pubblicati il Diario 1943 e quello del 1944/45) -, ricordando che sempre del Dr. Goebbels sono stati dalla Thule Italia editrice editi:
– Michael – Diario di un destino tedesco (2012)
– Dal Kaiserhof alla Cancelleria del Reich (2014)
– Berlino. Il risveglio (maggio 2014).
Non poteva che essere così. La curiosità non poteva che nascere altrove e non certamente da testate “istituzionali”. Così dal campo ovverso ci sono state poste 5 domande sulla nostra casa editrice alle quali abbiamo con piacere risposto.Le rispettive posizioni resteranno sicuramente immutate, ma è stato calato un *jolly*: quello della libertà di espressione.Rimandiamo direttamente al blog per la lettura.
Ringraziando la redazione di Idee in/oltre.
L’ormai perenne grigiore opprimente dell’autoreferenzialità, salottiera e mediatica, di codesta cultura può venire mai squarciato da una spera di Sole?
Può succedere ed è successo. È alquanto ovvio che ciò non potesse giungere da chi ha bandito la parola “ideologia” dal dizionario del buon democratico: troppo ingombrante e troppo pericoloso – per lui! – il confronto con la vacuità della sua idea fondata sul capitale elettronico gestita dai suoi “eterni” e modernizzati detentori. Ogni potere che si rispetti ha i suoi lacchè e questi imperversano anche – se non soprattutto, visto l’importante ruolo in cui “servono” – in ogni redazione, concorso, manifestazione, regia televisiva e radiofonica. Tutti alacremente all’opera per fornire l’unica informazione possibile: quella che serve a determinare e guidare l’opinione pubblica.
Poi, può succedere ed è successo che un direttore di un settimanale – al di sopra di ogni sospetto! – decida di pubblicare una recensione alla casa editrice Thule Italia. Lo potremmo indicare come un “error system”: fare esistere qualcosa che non doveva esistere!
Non che non esistessimo prima, ma la nostra presenza nel panorama editoriale italiano era – e doveva così restare – dominio di pochi, se non pochissimi. Il perché è facile intuirlo dal nostro catalogo. Osavamo, e osiamo, portare dei documenti direttamente dal passato al presente senza “intermediari” e senza quella guida critica (sic!) così ingombrante ma così necessaria per il Lettore considerato incapace di intendere e di volere. Parlare di qualcuno/qualcosa in questa società della comunicazione significa sancirne l’esistenza, così come il tacerne è decretarne la morte o al massimo una vita di stenti. Parlarne per un sol giorno: qualche rischio, ma poco influente.
L’“error system” rientrerà, quindi, facilmente e rapidamente: sarà sufficiente – anche in questo caso – non farne ulteriormente parola. Sarà posto in quell’archivio di dati “a disposizione”: potrà sempre tornare utile un giorno ai gendarmi del pensiero unico.
Per adesso ci godiamo questo raggio di Sole incuranti di quella spruzzatina di pepe che qui e là ha arricchito l’articolo rendendo sicuramente la pietanza più gustosa al Lettore e soprattutto digeribile al Direttore Sansonetti.
Marco Linguardo
IL DOVERE DI PUBBLICARE GLI IMPUBBLICABILI
Piccolo antefatto personale: quando ero in terza liceo, già interessato ai rapporti tra esoterismo e dottrine politiche, nonché al cosiddetto “pensiero negativo”, elaborai, in vista dell’esame di maturità, una bizzarra tesina, un po’ provocatoria, un po’ semplicemente campata in aria, che metteva assieme Leopardi, Schopenauer e Hitler! Per fare ciò avrei dovuto ovviamente attingere ad un testo che all’epoca qualsiasi libro di storia citava, ma che era irreperibile in libreria e che, senza internet, sarebbe stato difficile anche trovare in una lingua straniera: mi riferisco al famigerato “Mein Kampf”… Dopo molte ricerche trovai una sorta di edizione clandestina di quel testo che, ricordo ancora, acquistai con enorme senso di vergogna: tutto dalla copertina all’impianto critico di quella edizione gridava infatti vendetta! Da allora mi sono sempre chiesto per quale misteriosa ragione l’editoria ufficiale si rifiutasse di pubblicare un libro che pure figurava tra i più citati in senso assoluto. Quando poi nel 2002, “Mein Kampf” ebbe una sua prima edizione ufficiale per i tipi di Kaos Edizioni, mi illusi che qualcosa stesse cambiando, anche perché, se non ricordo male, nessuno (almeno tra i sani di mente) colse l’occasione per accusare Kaos di essere un laboratorio di idee antisemite o il professor Giorgio Galli, che aveva prefato l’opera, di nutrire qualche progetto filonazista. D’altronde pare evidente che l’ingresso della biografia hitleriana sul mercato ufficiale non abbia affatto incrementato fenomeni di nostalgismo fascistoide; potrei semmai testimoniare, almeno dalla mia prospettiva, che la lettura diretta di un testo come il “Mein Kampf” fa sfumare anche l’alone di oscuro mistero che avvolge questo libro per riconsegnarlo alla sua reale dimensione di opera sommamente noiosa, scritta in una lingua zoppicante e burocratica e della quale sfugge ogni “appeal”, anche negativo. Per dirla in maniera ancora più chiara il fatto che un testo sia accessibile ne depotenzia tutti quegli aspetti di attrattività che potremmo definire con l’espressione “magnetismo di minoranza”, un fenomeno che non appartiene solo alla sfera politica e che qualunque artista underground ben conosce… C’erano insomma tutte le condizioni perché una editoria che peraltro lucra intensamente sfornando centinaia di libri ogni anno (tutti necessari?) sui totalitarismi e sul nazionalsocialismo, si dedicasse piuttosto a rendere disponibili a tutti, storici, studiosi, semplici lettori, quelle fonti citate ovunque in maniera ossessiva. Purtroppo non è stato così e decine di testi essenziali per adempiere una rigorosa ricerca storiografica hanno continuato a rimanere non disponibili evidenziando una politica divulgativa schizofrenica nella migliore delle ipotesi, in malafede nella peggiore. Il risultato? Molti di quei testi sono adesso sul mercato, peccato che ad adoperarsi per questo sforzo documentativo non sia stata qualche casa editrice riconosciuta e dallo status ideologico in cui i più possano riconoscersi, ma una piccola realtà che utilizza tali testi con scopi apologetici o ancora propagandistici che sono, nella migliore e più pacifica delle ipotesi, totalmente incomprensibili. La casa editrice in questione, denominata “Thule Italia” (con un chiaro riferimento alla “Thule Gesellschaft”, una società segreta di stampo ariosofico che con le sue pubblicazioni nazionaliste ed antisemite influenzarono indubbiamente il giovane Hitler), da un paio di anni ha cominciato ad immettere sul mercato, per la prima volta in Italia dopo la fine della guerra, una serie di documenti che in molti casi risultano essere essenziali per chiunque voglia svolgere un lavoro di ricerca storiografica deontologicamente corretto e dunque, anche in virtù di un approccio per certi versi molto rigoroso, impossibili da trascurare per chi si interessi di certi argomenti. Qualche esempio? I due volumi de “Il mito del XX secolo” di Alfred Rosenberg, un testo essenziale per capire le radici della diffusione del pensiero razzista, nonché uno dei testi filosofici che, a dispetto della sua prosa piuttosto impenetrabile, ebbe maggior diffusione nei primi decenni del secolo scorso, oppure ancora il romanzo del giovane Goebbels “Michael”, che ci rivela il sentiero politico di un uomo che stava passando dal marxismo ad una ipotesi di socialismo marcatamente nazionalista e gerarchizzata, oppure ancora la straordinaria raccolta in due volumi “L’ordine SS –Etica ed ideologia” che ci consente per la prima volta di attingere direttamente dai testi che miravano a creare quel mito dell’onore e della fedeltà che oggi ci turba e ci sorprende. Non c’è colpa nel pubblicare tali testi, semmai possiamo e dobbiamo criticare e contrastare l’assurda pretesa di attualità e spendibilità che anima la volontà di questa piccola casa editrice, ghettizzata, crediamo, anche da buona parte della destra radicale. Ma in fondo, dicevamo, è un terreno questo che era stato ben preparato dalla insipienza e dalla mancanza di consapevolezza (anche nella forza degli ideali democratici) della nostra editoria ufficiale. E noi, ancora una volta, ci dobbiamo accontentare dei cocci. E ringraziamo…
La paura della Storia in questo breve articolo in cui c’è spazio anche per la nostra nuova uscita “Michael” di Joseph Goebbels.
Bufera sugli scritti del tenero Goebbels
«Il loro posto è in archivio, non nelle mani dei nostalgici»
da Il Giornale, 26 settembre 2012
Daniele Abbiati
«Non c’è dubbio che Goebbels fosse una persona interessante, un uomo affascinante e intelligente e un grande affabulatore. Potevi star certo che con i suoi aneddoti e i suoi scherzi avrebbe ravvivato qualsiasi festa». Nel 1997, mezzo secolo dopo la sua storia d’amore con il ministro della Propaganda del Terzo Reich, l’attrice ceca Lída Baarová (morta nell’ottobre del 2000) lo ricordava così: salottiero, seduttivo, brillante. La fiamma non s’era spenta, covava sotto le ceneri della memoria. Sotto le ceneri in cui vennero ridotti milioni di persone anche per colpa di Goebbels, invece, cova ancora, ovviamente, il disprezzo e l’odio nei confronti del delirio hitleriano. E a nulla vale a dire (anzi…) ricordare il volto umano del giovane Joseph Paul come emerge da un malloppo di suoi scritti, comprensivo di lettere sentimentali, racconti lacrimevoli, poesie sdolcinate e della tesi di dottorato. Tale malloppo, ecco il motivo del risentimento da parte di molti, ebrei e non ebrei, andrà all’asta domani a Stanford, nel Connecticut, alla casa Alexander. Valutazione fra i 200 e i 3000 dollari. Menachem Rosensaft, presidente dell’associazione che riunisce i sopravvissuti della Shoah e i loro discendenti, accusa quelli di Alexander di voler far soldi con la vendita di memorabilia naziste. «Il posto giusto per quei documenti – ha aggiunto – è un archivio di ricerca storica. Così si eviterebbe di farli finire nelle mani sbagliate». Le mani, cioè, di nostalgici più pericolosi della bella Lída Baarová. Intanto, nelle librerie italiane arriva l’unico romanzo di Goebbels, Michael. Diario di un destino tedesco (Thule Italia Editrice), pubblicato nel ’29 in Germania. È la storia di un giovane soldato di ritorno dalla prima guerra mondiale desideroso di riscattare l’onore finito della patria. Socialista, dopo l’incontro con Hitler diverrà fatalmente nazionalsocialista.
Proponiamo la recensione di Luca Leonello Rimbotti apparsa su Linea del 5 novembre 2011 dedicata al volume fotografico edito da NovAntico “Manifesti e grafica della Waffen-SS europea”. Ringraziamo del riconoscimento al lavoro pluriennale della Galleria d’Arte Thule sia sul volume – con le ultime due pagine dedicate alla cura dell’arte da parte della nostra Associazione Culturale – sia sulla recensione. Chi fosse interessato al volume può farne richiesta a noi (thule@thule-italia.org) direttamente o attraverso questo portale nella sezione libri altrui. E ora lasciamo la parola all’amico Luca e al Suo scritto. ML
E’ appena uscita una bellissima pubblicazione sul materiale iconografico apparso nel corso della Seconda guerra mondiale in ambito SS per sostenere la tremenda lotta europea allora in corso per l’essere e il non-essere. Parliamo di Manifesti e grafica della Waffen-SS europea, opera uscita per i tipi della Novantico Editrice ed evento librario oltremodo ben fatto, sia tipograficamente che bibliograficamente, curato con collaudata professionalità da Harm Wulf conosciuto ricercatore di ogni aspetto della moderna germanistica völkisch. La singolare pubblicazione, unica nel suo genere in Italia, si offre al pubblico come eccellente strumento di conoscenza storica, impiantata su una ricostruzione scientifica degli autori, degli stili e delle strumentazioni artistiche usate per diffondere al meglio il messaggio identitario e mobilitatorio tra le popolazioni europee, in quell’epoca di cruenta lotta per l’esistenza. Bisogna dire che ciò che balza subito all’occhio, nello sfogliare l’ampia antologia degli esemplari grafici scelti, è l’appartenenza di questo genere di produzione al filone del realismo figurativo, che in Europa aveva nobilissimi ascendenti, dalla scuola preraffaellita al simbolismo tardo-ottocentesco. Aderenza alla realtà, precisione anche oleografica dei segni tendente alla rappresentazione veridica, ma circonfusa da quell’alone di trascinante eroicizzazione dell’uomo europeo che fece coincidere la bellezza e la nobiltà delle figure con la loro proiezione mitica ed evocativa. Questa linea, unitamente all’apporto di tratti più marcatamente espressionisti – presenti ad esempio già nella produzione nazionalsocialista di manifesti murali, volantini o copertine di libri negli anni del Kampfzeit – incentrati sulla drammaticità, sull’essenzialità e talora sulla crudezza del tratto, si combinarono in una stilizzazione dell’immagine a forte impatto emotivo. Ciò che, da noi, generò qualcosa di non molto dissimile: la fusione della grafica liberty di un De Carolis, di dannunziana potenza immaginale, con il verismo futuristico. E ne uscì, ad esempio, la cartellonistica politica o commerciale di un Depero, di un Dudovich, di un Boccasile, di un Walter Molino. Nella Germania dell’epoca, allo stesso modo, si ebbe il caso di svariati autori pregni del medesimo retroterra culturale, che in campo artistico ripeterono le ispirazioni ideologiche nazionalpopolari, intese a sposare il tradizionalismo con la modernità, dando vita a modelli artistici di marcata presa visiva. La cultura artistica tedesca, sin dall’Ottocento, di grandi simbolisti era del resto sempre stata ricca: i von Stuck, i Makart – pittore tra i preferiti di Hitler – o i von Marées funzionarono in qualità di vecchi maestri, la cui produzione era iconograficamente alle spalle di un Hans Schweitzer (il famoso Mjölnir, forse il più popolare disegnatore d’epoca nazista) oppure di un Wolfgang Willrich, straordinario autore di impronta naturalistico-classicista che venne notato da Darré e che divenne negli anni del Terzo Reich un conosciutissimo cesellatore di tematiche paesaggistiche nordiciste. Il figurativismo che usciva dalle ambientazioni grafiche SS (le più dinamiche, forse, certamente le più drammatiche) doveva essere il riassunto e il riflesso dei temi ideologici allora al sommo dell’agenda politica: e innanzi tutto agiva l’appello alla gioventù d’Europa, vero e proprio momento di impressionistico richiamo all’azione. Come il cinema o la radio o la stampa, il manifesto combattentistico e volontarista marcato SS costituiva il fulcro visivo della chiamata a raccolta della popolazione giovane del continente, l’uomo nuovo europeo plasmato dalle ideologie eroiche: «i giovani europei rappresentavano allora il target audience su cui venivano focalizzate le attività psicologiche destinate al “fronte interno”. Il fine era quello di diffondere la conoscenza di fatti ed idee, per mezzo di notizie o appelli, atti a orientare il pensiero e l’azione di quei giovani, rendendoli, di conseguenza, partecipi delle motivazioni per cui la Germania era in guerra», ha ben scritto Federico Prizzi nell’editoriale che apre il volume. Questo approccio, per così dire, scientifico, al materiale oggi proposto dalla Novantico, ci indirizza verso l’ideale che era al centro della produzione grafica dì promozione attivistica, cioè la saldatura dei popoli europei entro categorie dì comunanza dì destino, che furono e rimasero fino agli ultimi giorni dì guerra l’elemento tipico di questo genere dì arte popolare dì massa. Qualcosa che produsse, come sappiamo, una risposta non indifferente da parte dei giovani dell’epoca, che a centinaia dì migliaia si arruolarono nelle file della Waffen-SS.
E così noi vediamo l’appello che il giovane danese in divisa SS rivolge ai suoi compatrioti, cui fa da viatico la figura pro-tettrice dell’antico guerriero vichingo; oppure vediamo il giovane volontario SS estone paludato degli arcaici simboli di un popolo di confine; oppure, ancora, si nota il richiamo vallone, norvegese, tedesco o persino bosniaco alla difesa fanatica delle proprie città, delle proprie campagne, dei borghi, delle famiglie contadine di antico ceppo che salutano con fierezza il volontario già in armi. Poi c’è il filone della ritrattistica, in cui eccelsero un Wilhelm Petersen o lo stesso Willrich, in cui si ritrova la medesima qualità incisoria di uno Sluyterman von Langeweide, abile nel ripercorrere lo stile cinquecentesco presente in Dürer o nelle stampe popolari che raffiguravano gli antichi protagonisti delle guerre contadine, come, ad esempio, Ulrich von Hutten, personaggio di nuovo solennizzato in epoca nazionalsocialista. Bellezza del tratto, nitore dell’effetto chiaroscurale ed immaginale, in un risultato d’insieme fortemente nobilitante: queste le caratteristiche di una tale produzione di qualità. Oggi, una bella scelta di queste ed altre opere è possibile trovarla nella Galleria d’Arte dell’Associazione Thule Italia presente in rete (http//www.galleria.thule-italia.com).
Nella sua prefazione al libro, Ernesto Zucconi non manca di osservare che questi lavori, a metà strada fra la propaganda politica, l’arte popolare e il bozzetto tradizionale, furono la controfaccia di un giacimento identitaria che non venne inventato o creato dal nulla, ma che era presente nei sostrati culturali europei, e senza il quale nessuna propaganda sarebbe mai riuscita a ottenere quell’indubbio successo che l’appello della Waffen-SS ottenne presso la gioventù d’Europa. Difatti, Zucconi precisa che la produzione grafica di ambito SS «contribuì a diffondere e rafforzare il sentimento unitario del combattentismo europeo per una comune vittoria che avrebbe potuto significare l’avvio al raggiungimento della tanto sospirata soluzione ai problemi del Continente». A questo proposito Harm Wulf – che tra l’altro fornisce preziosi ritratti biografici dei maggiori artisti e grafici che firmarono i manifesti SS -, nella sua articolata presentazione dell’apparato iconografico del volume, riassume in alcuni grandi temi quella produzione di battaglia: la gioventù, la fedeltà, l’identità, l’idea di Europa e la descrizione del Nemico come apocalittico avversario anti-europeo: questi furono i punti fermi, la sostanza del discorso ideologico legato all’immagine di massa.
Il dato che ne esce è la grande capacità comunicativa, l’effetto che si produce sull’osservatore attraverso l’estremizzazione iconografica del tema “bene-contro male”. Si è spesso definito il Fascismo in generale, e il Nazionalsocialismo in particolare, come una “estetizzazione della politica” che faceva dell’immagine – e del simbolo in essa racchiuso -l’elemento forte della capacità di comunicazione del messaggio.
La propaganda di Goebbels, come è noto, eccelse in queste scelte ad effetto. I documenti presentati da Harm Wulf sono caratteristici di questa guerra delle immagini che, a lato di quella delle armi, si svolse in maniera non meno ideologicamente oltranzista: «Spesso le immagini – argomenta Harm Wulf – possono aiutare la comprensione meglio e più profondamente di tante parole. Spesso rappresentano in maniera sintetica una precisa Weltanschauung.
I lavori artistici raccolti spiegano con chiarezza la visione del mondo arcaica ma al contempo moderna dei soldati politici della Waffen-SS: fedeltà alle proprie radici… comunità organica di popolo contro individualismo universalista e nomade, memoria storica e culto degli antenati…».
E non mancano neppure modernissime raffigurazioni del macchinismo scatenato e di-struttivo, rese con efficacia futuristica: come il manifesto intitolato “Kultur-Terror” del norvegese Harald Damsleth, che nel 1944 raffigurò una specie di robot-golem americano, che mentre rade al suolo le antiche città europee si proclama al tempo stesso difensore della cultura europea… Tutto questo ci fornisce un documento storico essenziale sul secolo “breve”, il secolo delle ideologie. Al culmine della cui crisi, l’Europa dette fondo a tutte le proprie risorse, non ultima quella dell’inventiva artistica, mobilitate alfine di far evitare al nostro continente esattamente quel destino di decadenza e oblìo politico in cui lo vediamo oggi miseramente sprofondato.
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Prezzo: €36,00 (incluso 4 % I.V.A.)
Harm Wulf
Questa bella opera offre per la prima volta in Italia un’ampia raccolta relativa alle diverse rappresentazioni grafiche che, prodotte dagli uffici di propaganda e dai vari “Kriegsberichter” delle Waffen SS, vennero impiegate sui fronti della Seconda Guerra Mondiale. Il volume analizza e raccoglie dettagliatamente le biografie e le pregevoli realizzazioni di Ottomar Anton, Gino Boccasile, Finn Wigforss, Wolfgang Willrich, Harald Damsleth, Wilhelm Petersen, Hans Schweitzer, Hermann Otto Hoyer ed Ernst Krause. Il fine di questo volume è quello di esaminare in maniera scientifica i documenti iconografici che vennero eseguiti, prevalentemente tra il 1941 e il 1945, da qualificati illustratori di differenti nazioni, per far arruolare centinaia di migliaia di giovani europei nelle SS combattenti, documenti peraltro di squisito valore artistico.
Brossura 21 x 30 cm. pag. 154 interamente illustrate con immagini a colori