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5 domande (e risposte) alla Thule Italia Editrice

Non poteva che essere così. La curiosità non poteva che nascere altrove e non certamente da testate “istituzionali”. Così dal campo ovverso ci sono state poste 5 domande sulla nostra casa editrice alle quali abbiamo con piacere risposto.Le rispettive posizioni resteranno sicuramente immutate, ma è stato calato un *jolly*: quello della libertà di espressione.Rimandiamo direttamente al blog per la lettura.
Ringraziando la redazione di Idee in/oltre.

http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/04/marco-linguardo-thule-italia-e-lunica.html

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Succede a “sinistra” [una recensione alla Thule Italia editrice]

L’ormai perenne grigiore opprimente dell’autoreferenzialità, salottiera e mediatica, di codesta cultura può venire mai squarciato da una spera di Sole?
Può succedere ed è successo.
È alquanto ovvio che ciò non potesse giungere da chi ha bandito la parola “ideologia” dal dizionario del buon democratico: troppo ingombrante e troppo pericoloso – per lui! – il confronto con la vacuità della sua idea fondata sul capitale elettronico gestita dai suoi “eterni” e modernizzati detentori. Ogni potere che si rispetti ha i suoi lacchè e questi imperversano anche – se non soprattutto, visto l’importante ruolo in cui “servono” – in ogni redazione, concorso, manifestazione, regia televisiva e radiofonica. Tutti alacremente all’opera per fornire l’unica informazione possibile: quella che serve a determinare e guidare l’opinione pubblica.
Poi, può succedere ed è successo che un direttore di un settimanale – al di sopra di ogni sospetto! – decida di pubblicare una recensione alla casa editrice Thule Italia. Lo potremmo indicare come un “error system”: fare esistere qualcosa che non doveva esistere!
Non che non esistessimo prima, ma la nostra presenza nel panorama editoriale italiano era – e doveva così restare – dominio di pochi, se non pochissimi. Il perché è facile intuirlo dal nostro catalogo. Osavamo, e osiamo, portare dei documenti direttamente dal passato al presente senza “intermediari” e senza quella guida critica (sic!) così ingombrante ma così necessaria per il Lettore considerato incapace di intendere e di volere. Parlare di qualcuno/qualcosa in questa società della comunicazione significa sancirne l’esistenza, così come il tacerne è decretarne la morte o al massimo una vita di stenti. Parlarne per un sol giorno: qualche rischio, ma poco influente.
L’“error system” rientrerà, quindi, facilmente e rapidamente: sarà sufficiente – anche in questo caso – non farne ulteriormente parola. Sarà posto in quell’archivio di dati “a disposizione”: potrà sempre tornare utile un giorno ai gendarmi del pensiero unico.
Per adesso ci godiamo questo raggio di Sole incuranti di quella spruzzatina di pepe che qui e là ha arricchito l’articolo rendendo sicuramente la pietanza più gustosa al Lettore e soprattutto digeribile al Direttore Sansonetti.

Marco Linguardo

IL DOVERE DI PUBBLICARE GLI IMPUBBLICABILI

Piccolo antefatto personale: quando ero in terza liceo, già interessato ai rapporti tra esoterismo e dottrine politiche, nonché al cosiddetto “pensiero negativo”, elaborai, in vista dell’esame di maturità, una bizzarra tesina, un po’ provocatoria, un po’ semplicemente campata in aria, che metteva assieme Leopardi, Schopenauer e Hitler! Per fare ciò avrei dovuto ovviamente attingere ad un testo che all’epoca qualsiasi libro di storia citava, ma che era irreperibile in libreria e che, senza internet, sarebbe stato difficile anche trovare in una lingua straniera: mi riferisco al famigerato “Mein Kampf”… Dopo molte ricerche trovai una sorta di edizione clandestina di quel testo che, ricordo ancora, acquistai con enorme senso di vergogna: tutto dalla copertina all’impianto critico di quella edizione gridava infatti vendetta! Da allora mi sono sempre chiesto per quale misteriosa ragione l’editoria ufficiale si rifiutasse di pubblicare un libro che pure figurava tra i più citati in senso assoluto. Quando poi nel 2002, “Mein Kampf” ebbe una sua prima edizione ufficiale per i tipi di Kaos Edizioni, mi illusi che qualcosa stesse cambiando, anche perché, se non ricordo male, nessuno (almeno tra i sani di mente) colse l’occasione per accusare Kaos di essere un laboratorio di idee antisemite o il professor Giorgio Galli, che aveva prefato l’opera, di nutrire qualche progetto filonazista. D’altronde pare evidente che l’ingresso della biografia hitleriana sul mercato ufficiale non abbia affatto incrementato fenomeni di nostalgismo fascistoide; potrei semmai testimoniare, almeno dalla mia prospettiva, che la lettura diretta di un testo come il “Mein Kampf” fa sfumare anche l’alone di oscuro mistero che avvolge questo libro per riconsegnarlo alla sua reale dimensione di opera sommamente noiosa, scritta in una lingua zoppicante e burocratica e della quale sfugge ogni “appeal”, anche negativo. Per dirla in maniera ancora più chiara il fatto che un testo sia accessibile ne depotenzia tutti quegli aspetti di attrattività che potremmo definire con l’espressione “magnetismo di minoranza”, un fenomeno che non appartiene solo alla sfera politica e che qualunque artista underground ben conosce… C’erano insomma tutte le condizioni perché una editoria che peraltro lucra intensamente sfornando centinaia di libri ogni anno (tutti necessari?) sui totalitarismi e sul nazionalsocialismo, si dedicasse piuttosto a rendere disponibili a tutti, storici, studiosi, semplici lettori, quelle fonti citate ovunque in maniera ossessiva. Purtroppo non è stato così e decine di testi essenziali per adempiere una rigorosa ricerca storiografica hanno continuato a rimanere non disponibili evidenziando una politica divulgativa schizofrenica nella migliore delle ipotesi, in malafede nella peggiore. Il risultato? Molti di quei testi sono adesso sul mercato, peccato che ad adoperarsi per questo sforzo documentativo non sia stata qualche casa editrice riconosciuta e dallo status ideologico in cui i più possano riconoscersi, ma una piccola realtà che utilizza tali testi con scopi apologetici o ancora propagandistici che sono, nella migliore e più pacifica delle ipotesi, totalmente incomprensibili. La casa editrice in questione, denominata “Thule Italia” (con un chiaro riferimento alla “Thule Gesellschaft”, una società segreta di stampo ariosofico che con le sue pubblicazioni nazionaliste ed antisemite influenzarono indubbiamente il giovane Hitler), da un paio di anni ha cominciato ad immettere sul mercato, per la prima volta in Italia dopo la fine della guerra, una serie di documenti che in molti casi risultano essere essenziali per chiunque voglia svolgere un lavoro di ricerca storiografica deontologicamente corretto e dunque, anche in virtù di un approccio per certi versi molto rigoroso, impossibili da trascurare per chi si interessi di certi argomenti. Qualche esempio? I due volumi de “Il mito del XX secolo” di Alfred Rosenberg, un testo essenziale per capire le radici della diffusione del pensiero razzista, nonché uno dei testi filosofici che, a dispetto della sua prosa piuttosto impenetrabile, ebbe maggior diffusione nei primi decenni del secolo scorso, oppure ancora il romanzo del giovane Goebbels “Michael”, che ci rivela il sentiero politico di un uomo che stava passando dal marxismo ad una ipotesi di socialismo marcatamente nazionalista e gerarchizzata, oppure ancora la straordinaria raccolta in due volumi “L’ordine SS –Etica ed ideologia” che ci consente per la prima volta di attingere direttamente dai testi che miravano a creare quel mito dell’onore e della fedeltà che oggi ci turba e ci sorprende. Non c’è colpa nel pubblicare tali testi, semmai possiamo e dobbiamo criticare e contrastare l’assurda pretesa di attualità e spendibilità che anima la volontà di questa piccola casa editrice, ghettizzata, crediamo, anche da buona parte della destra radicale. Ma in fondo, dicevamo, è un terreno questo che era stato ben preparato dalla insipienza e dalla mancanza di consapevolezza (anche nella forza degli ideali democratici) della nostra editoria ufficiale. E noi, ancora una volta, ci dobbiamo accontentare dei cocci. E ringraziamo…

ANTONELLO CRESTI

pubblicato su “Altri” del 25 ottobre 2013

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Parola d’ordine: non diffondere!

La paura della Storia in questo breve articolo in cui c’è spazio anche per la nostra nuova uscita “Michael” di Joseph Goebbels.

Bufera sugli scritti del tenero Goebbels

«Il loro posto è in archivio, non nelle mani dei nostalgici»

da Il Giornale, 26 settembre 2012

Daniele Abbiati

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«Non c’è dubbio che Goebbels fosse una persona interessante, un uomo affascinante e intelligente e un grande affabulatore. Potevi star certo che con i suoi aneddoti e i suoi scherzi avrebbe ravvivato qualsiasi festa». Nel 1997, mezzo secolo dopo la sua storia d’amore con il ministro della Propaganda del Terzo Reich, l’attrice ceca Lída Baarová (morta nell’ottobre del 2000) lo ricordava così: salottiero, seduttivo, brillante. La fiamma non s’era spenta, covava sotto le ceneri della memoria. Sotto le ceneri in cui vennero ridotti milioni di persone anche per colpa di Goebbels, invece, cova ancora, ovviamente, il disprezzo e l’odio nei confronti del delirio hitleriano. E a nulla vale a dire (anzi…) ricordare il volto umano del giovane Joseph Paul come emerge da un malloppo di suoi scritti, comprensivo di lettere sentimentali, racconti lacrimevoli, poesie sdolcinate e della tesi di dottorato. Tale malloppo, ecco il motivo del risentimento da parte di molti, ebrei e non ebrei, andrà all’asta domani a Stanford, nel Connecticut, alla casa Alexander. Valutazione fra i 200 e i 3000 dollari. Menachem Rosensaft, presidente dell’associazione che riunisce i sopravvissuti della Shoah e i loro discendenti, accusa quelli di Alexander di voler far soldi con la vendita di memorabilia naziste. «Il posto giusto per quei documenti – ha aggiunto – è un archivio di ricerca storica. Così si eviterebbe di farli finire nelle mani sbagliate». Le mani, cioè, di nostalgici più pericolosi della bella Lída Baarová. Intanto, nelle librerie italiane arriva l’unico romanzo di Goebbels, Michael. Diario di un destino tedesco (Thule Italia Editrice), pubblicato nel ’29 in Germania. È la storia di un giovane soldato di ritorno dalla prima guerra mondiale desideroso di riscattare l’onore finito della patria. Socialista, dopo l’incontro con Hitler diverrà fatalmente nazionalsocialista.

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L’Europa eterna in quei manifesti di Luca Leonello Rimbotti

Proponiamo la recensione di Luca Leonello Rimbotti apparsa su Linea del 5 novembre 2011 dedicata al volume fotografico edito da NovAntico “Manifesti e grafica della Waffen-SS europea”. Ringraziamo del riconoscimento al lavoro pluriennale della Galleria d’Arte Thule sia sul volume – con le ultime due pagine dedicate alla cura dell’arte da parte della nostra Associazione Culturale  – sia sulla recensione. Chi fosse interessato al volume può farne richiesta a noi (thule@thule-italia.org) direttamente o attraverso questo portale nella sezione libri altrui. E ora lasciamo la parola all’amico Luca e al Suo scritto. ML

E’ appena uscita una bellissima pubblicazione sul materiale iconografico apparso nel corso della Seconda guerra mondiale in ambito SS per sostenere la tremenda lotta europea allora in corso per l’essere e il non-essere. Parliamo di Manifesti e grafica della Waffen-SS europea, opera uscita per i tipi della Novantico Editrice ed evento librario oltremodo ben fatto, sia tipograficamente che bibliograficamente, curato con collaudata professionalità da Harm Wulf conosciuto ricercatore di ogni aspetto della moderna germanistica völkisch. La singolare pubblicazione, unica nel suo genere in Italia, si offre al pubblico come eccellente strumento di conoscenza storica, impiantata su una ricostruzione scientifica degli autori, degli stili e delle strumentazioni artistiche usate per diffondere al meglio il messaggio identitario e mobilitatorio tra le popolazioni europee, in quell’epoca di cruenta lotta per l’esistenza. Bisogna dire che ciò che balza subito all’occhio, nello sfogliare l’ampia antologia degli esemplari grafici scelti, è l’appartenenza di questo genere di produzione al filone del realismo figurativo, che in Europa aveva nobilissimi ascendenti, dalla scuola preraffaellita al simbolismo tardo-ottocentesco. Aderenza alla realtà, precisione anche oleografica dei segni tendente alla rappresentazione veridica, ma circonfusa da quell’alone di trascinante eroicizzazione dell’uomo europeo che fece coincidere la bellezza e la nobiltà delle figure con la loro proiezione mitica ed evocativa. Questa linea, unitamente all’apporto di tratti più marcatamente espressionisti – presenti ad esempio già nella produzione nazionalsocialista di manifesti murali, volantini o copertine di libri negli anni del Kampfzeit – incentrati sulla drammaticità, sull’essenzialità e talora sulla crudezza del tratto, si combinarono in una stilizzazione dell’immagine a forte impatto emotivo. Ciò che, da noi, generò qualcosa di non molto dissimile: la fusione della grafica liberty di un De Carolis, di dannunziana potenza immaginale, con il verismo futuristico. E ne uscì, ad esempio, la cartellonistica politica o commerciale di un Depero, di un Dudovich, di un Boccasile, di un Walter Molino. Nella Germania dell’epoca, allo stesso modo, si ebbe il caso di svariati autori pregni del medesimo retroterra culturale, che in campo artistico ripeterono le ispirazioni ideologiche nazionalpopolari, intese a sposare il tradizionalismo con la modernità, dando vita a modelli artistici di marcata presa visiva. La cultura artistica tedesca, sin dall’Ottocento, di grandi simbolisti era del resto sempre stata ricca: i von Stuck, i Makart – pittore tra i preferiti di Hitler – o i von Marées funzionarono in qualità di vecchi maestri, la cui produzione era iconograficamente alle spalle di un Hans Schweitzer (il famoso Mjölnir, forse il più popolare disegnatore d’epoca nazista) oppure di un Wolfgang Willrich, straordinario autore di impronta naturalistico-classicista che venne notato da Darré e che divenne negli anni del Terzo Reich un conosciutissimo cesellatore di tematiche paesaggistiche nordiciste. Il figurativismo che usciva dalle ambientazioni grafiche SS (le più dinamiche, forse, certamente le più drammatiche) doveva essere il riassunto e il riflesso dei temi ideologici allora al sommo dell’agenda politica: e innanzi tutto agiva l’appello alla gioventù d’Europa, vero e proprio momento di impressionistico richiamo all’azione. Come il cinema o la radio o la stampa, il manifesto combattentistico e volontarista marcato SS costituiva il fulcro visivo della chiamata a raccolta della popolazione giovane del continente, l’uomo nuovo europeo plasmato dalle ideologie eroiche: «i giovani europei rappresentavano allora il target audience su cui venivano focalizzate le attività psicologiche destinate al “fronte interno”. Il fine era quello di diffondere la conoscenza di fatti ed idee, per mezzo di notizie o appelli, atti a orientare il pensiero e l’azione di quei giovani, rendendoli, di conseguenza, partecipi delle motivazioni per cui la Germania era in guerra», ha ben scritto Federico Prizzi nell’editoriale che apre il volume. Questo approccio, per così dire, scientifico, al materiale oggi proposto dalla Novantico, ci indirizza verso l’ideale che era al centro della produzione grafica dì promozione attivistica, cioè la saldatura dei popoli europei entro categorie dì comunanza dì destino, che furono e rimasero fino agli ultimi giorni dì guerra l’elemento tipico di questo genere dì arte popolare dì massa. Qualcosa che produsse, come sappiamo, una risposta non indifferente da parte dei giovani dell’epoca, che a centinaia dì migliaia si arruolarono nelle file della Waffen-SS.

E così noi vediamo l’appello che il giovane danese in divisa SS rivolge ai suoi compatrioti, cui fa da viatico la figura pro-tettrice dell’antico guerriero vichingo; oppure vediamo il giovane volontario SS estone paludato degli arcaici simboli di un popolo di confine; oppure, ancora, si nota il richiamo vallone, norvegese, tedesco o persino bosniaco alla difesa fanatica delle proprie città, delle proprie campagne, dei borghi, delle famiglie contadine di antico ceppo che salutano con fierezza il volontario già in armi. Poi c’è il filone della ritrattistica, in cui eccelsero un Wilhelm Petersen o lo stesso Willrich, in cui si ritrova la medesima qualità incisoria di uno Sluyterman von Langeweide, abile nel ripercorrere lo stile cinquecentesco presente in Dürer o nelle stampe popolari che raffiguravano gli antichi protagonisti delle guerre contadine, come, ad esempio, Ulrich von Hutten, personaggio di nuovo solennizzato in epoca nazionalsocialista. Bellezza del tratto, nitore dell’effetto chiaroscurale ed immaginale, in un risultato d’insieme fortemente nobilitante: queste le caratteristiche di una tale produzione di qualità. Oggi, una bella scelta di queste ed altre opere è possibile trovarla nella Galleria d’Arte dell’Associazione Thule Italia presente in rete (http//www.galleria.thule-italia.com).

Nella sua prefazione al libro, Ernesto Zucconi non manca di osservare che questi lavori, a metà strada fra la propaganda politica, l’arte popolare e il bozzetto tradizionale, furono la controfaccia di un giacimento identitaria che non venne inventato o creato dal nulla, ma che era presente nei sostrati culturali europei, e senza il quale nessuna propaganda sarebbe mai riuscita a ottenere quell’indubbio successo che l’appello della Waffen-SS ottenne presso la gioventù d’Europa. Difatti, Zucconi precisa che la produzione grafica di ambito SS «contribuì a diffondere e rafforzare il sentimento unitario del combattentismo europeo per una comune vittoria che avrebbe potuto significare l’avvio al raggiungimento della tanto sospirata soluzione ai problemi del Continente». A questo proposito Harm Wulf – che tra l’altro fornisce preziosi ritratti biografici dei maggiori artisti e grafici che firmarono i manifesti SS -, nella sua articolata presentazione dell’apparato iconografico del volume, riassume in alcuni grandi temi quella produzione di battaglia: la gioventù, la fedeltà, l’identità, l’idea di Europa e la descrizione del Nemico come apocalittico avversario anti-europeo: questi furono i punti fermi, la sostanza del discorso ideologico legato all’immagine di massa.

Il dato che ne esce è la grande capacità comunicativa, l’effetto che si produce sull’osservatore attraverso l’estremizzazione iconografica del tema “bene-contro male”. Si è spesso definito il Fascismo in generale, e il Nazionalsocialismo in particolare, come una “estetizzazione della politica” che faceva dell’immagine – e del simbolo in essa racchiuso -l’elemento forte della capacità di comunicazione del messaggio.

La propaganda di Goebbels, come è noto, eccelse in queste scelte ad effetto. I documenti presentati da Harm Wulf sono caratteristici di questa guerra delle immagini che, a lato di quella delle armi, si svolse in maniera non meno ideologicamente oltranzista: «Spesso le immagini – argomenta Harm Wulf – possono aiutare la comprensione meglio e più profondamente di tante parole. Spesso rappresentano in maniera sintetica una precisa Weltanschauung.

I lavori artistici raccolti spiegano con chiarezza la visione del mondo arcaica ma al contempo moderna dei soldati politici della Waffen-SS: fedeltà alle proprie radici… comunità organica di popolo contro individualismo universalista e nomade, memoria storica e culto degli antenati…».

E non mancano neppure modernissime raffigurazioni del macchinismo scatenato e di-struttivo, rese con efficacia futuristica: come il manifesto intitolato “Kultur-Terror” del norvegese Harald Damsleth, che nel 1944 raffigurò una specie di robot-golem americano, che mentre rade al suolo le antiche città europee si proclama al tempo stesso difensore della cultura europea… Tutto questo ci fornisce un documento storico essenziale sul secolo “breve”, il secolo delle ideologie. Al culmine della cui crisi, l’Europa dette fondo a tutte le proprie risorse, non ultima quella dell’inventiva artistica, mobilitate alfine di far evitare al nostro continente esattamente quel destino di decadenza e oblìo politico in cui lo vediamo oggi miseramente sprofondato.

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Prezzo: €36,00 (incluso 4 % I.V.A.)

Harm Wulf

Questa bella opera offre per la prima volta in Italia un’ampia raccolta relativa alle diverse rappresentazioni grafiche che, prodotte dagli uffici di propaganda e dai vari “Kriegsberichter” delle Waffen SS, vennero impiegate sui fronti della Seconda Guerra Mondiale. Il volume analizza e raccoglie dettagliatamente le biografie e le pregevoli realizzazioni di Ottomar Anton, Gino Boccasile, Finn Wigforss, Wolfgang Willrich, Harald Damsleth, Wilhelm Petersen, Hans Schweitzer, Hermann Otto Hoyer ed Ernst Krause. Il fine di questo volume è quello di esaminare in maniera scientifica i documenti iconografici che vennero eseguiti, prevalentemente tra il 1941 e il 1945, da qualificati illustratori di differenti nazioni, per far arruolare centinaia di migliaia di giovani europei nelle SS combattenti, documenti peraltro di squisito valore artistico.

Brossura 21 x 30 cm. pag. 154 interamente illustrate con immagini a colori

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Quando la “comunità guerriera” si racconta

Recensione di Luca Leonello Rimbotti a “Ordine SS. Etica e Ideologia” Vol. I (Linea, 22 ottobre 2011)

Quando la “comunità guerriera” si racconta

Un piano che inglobava molteplici materie, valido per tutte le epoche passate e anche per i secoli futuri: dalle origini dell’universo alla biologia, dalla botanica alla geologia, dalla storia alla zoologia, dall’arte alle religioni.

La descrizione di una scuola di carattere e di cultura e non il brutale e fanatico braccio armato di un potere dispotico riportato dalla “storia”.

È stato appena pubblicato il primo volume del libro di Edwige Thibaut L’Ordine SS. Etica e ideologia, per i tipi dell’Editrice Thule Italia. Si tratta della traduzione italiana di un corposo studio uscito in Francia nel 1991, di cui Leon Degrelle esaminò il manoscritto prima che venisse pubblicato e a cui poi volle egli stesso aggiungere la sua ammirata prefazione. Annotiamo che del libro della Thibaut è prevista entro tempi brevi la pubblicazione anche del secondo volume dell’edizione italiana, e sempre a cura della Thule Italia. Diciamo senz’altro che siamo di fronte a un opera importante, che si segnala per il fatto – unico in questo genere di studi – di essere per la gran parte un’antologia di testi estrapolati dalle pubblicazioni SS dell’epoca. Dopo la densa e informatissima introduzione della Thibaut, infatti, si ha una numerosa scelta di articoli, rapporti, saggi brevi e testimonianze da riviste, almanacchi, pubblicazioni speciali, ma soprattutto da quei “Leithefte”, i “Quaderni”, che furono un po’ la spina dorsale dell’insegnamento ideologico delle SS, la guida spirituale e il manuale di vita, per così dire, ad uso degli adepti. La formazione politica delle giovani SS, infatti, oltre ai corsi sulle più varie materie di studio che si tenevano nell’ambito dello Schulungsamt (l’Ufficio educativo) che faceva parte del RuSHA (l’Ufficio per la Razza e l’Insediamento guidato fino al 1938 da Walter Darrè), verteva sulla diffusione di questi quaderni divulgativi, attraverso i quali ci si riprometteva di attuare l’insegnamento di una corretta Weltanschauung, senza inutili pedanterie, ma con l’abituale puntigliosità tedesca. Ma, oltre al sapere, alla fase cioè dell’istruzione e della preparazione ideologica, ci si occupava anche dell’educazione, vale a dire della formazione del carattere e della personalità delle reclute.

Il libro della Thibaut. insomma, con questa inedita scelta antologica, si presenta come uno strumento di apprendimento dall’interno dei percorsi attraverso i quali il famoso uomo nuovo perseguito dal Nazionalsocialismo si veniva quotidianamente formando. Veniamo in altre parole informati direttamente, e senza interpretazioni o suggerimenti postumi, su quale fosse il punto di vista di un privilegiato osservatorio del Terzo Reich su tutti gli aspetti della vita, anche al di là dell’impegno politico. Ciò che si presenta. per quanto è di nostra conoscenza, come l’unica possibilità di accedere, da parte di specialisti come di semplici lettori, a un fondo storiografico di grande rilievo e altrimenti inaccessibile.

Per la verità, dalla lettura di questa vasta documentazione esce un’immagine delle SS che è un po’diversa da quella usuale: non il brutale e fanatico braccio armato di un potere dispotico, bensì una scuola di carattere e di cultura. La volontà di forgiare il “soldato politico” inserito nella moderna società di massa metteva i giovani frequentatori della scuola SS a contatto con ogni branca del sapere. La Thibaut riporta la direttiva emanata da Himmler nel marzo 1938, in base alla quale si intendeva dar corso a «un piano che inglobi molteplici materie e che possa essere valido per tutte le epoche e anche per i secoli futuri», includendo nulla di meno deli intero scibile umano, dalle origini dell’universo alla biologia, dalla botanica alla geologia, dalla storia alla zoologia, dall’arte alle grandi religioni… «Le SS di oggi come quelle dell’anno 2000» concludeva il Reichsführer in questa molto significativa indicazione di massima. «avranno familiarità con la storia del nostro popolo, di tutti gli Ariani, della Terra con la sua grandezza e bellezza, così come quella del mondo intero e prenderanno coscienza della grandezza e della onnipotenza di Dio». E, in effetti, le SS espressero tutto un mondo di ricerca e specializzazione culturale che. dalla Fondazione Ahnenerbe all’SD (l’Ufficio di sicurezza che aveva numerose sezioni), dette vita a una gran quantità di iniziative culturali, pubblicazioni, studi sulle materie più varie e talora anche bizzarre, dalla teoria del “ghiaccio cosmico” alla rivalutazione del nodo storico e culturale delle “streghe “, dallo studio delle erbe medicinali a quello dell’astrologia. Era un mondo davvero affamato di cultura, di quella alta come di quella popolare: «Tutti i campi della vita erano soggetti a insegnamento», scrive la Thibaut, «ci si aspettava che la conoscenza della bellezza, del valore e dell’importanza della missione per la quale ogni singola SS combatteva, l’avrebbe spinta verso le più grandi prodezze militari». Entro questi spazi educativi procedeva poi l’istruzione ideologico-politica e militare, che si esprimeva in apposite scuole per cadetti (le Junkerschulen) che si affiancavano alle cellule femminili, attraverso le quali l’Ordine Nero intendeva promuovere lo spirito di una vera e propria “comunità di clan”, cioè la formazione di nuclei familiari SS. Questo “Ordine clanico” promuoveva un sapere e uno stile di vita che oggi definiremmo “olistico”, cioè completo e totale, tale da investire gli aspetti fisici come quelli spirituali della personalità. Così facendo, come precisa la Thibaut. «veniva a formarsi quell’unità armoniosa che Rosenberg stesso definì: “la razza è l’anima vista dall’esterno e l’anima è la razza vista dall’interno”… Le SS accordarono il carattere militare con la fede, l’arte con la scienza, l’industria all’agricoltura, nell’alchimia suprema dell’Uomo nuovo». Le strutture SS. in quanto anti-classiste e portatrici di una concezione organica della comunità, a questo inedito soggetto fornivano occasione di promozione sociale e di formazione di competenza, aldi là dei vecchi steccati di classe, tanto che si potevano vedere «degli uomini di una trentina di anni arrivare al grado di generale e “civili” dal talento incontestabile, come Werner von Braun o il professor Porsche, diventare “ufficiali” delle SS».

E in questo modo che, nell’originale struttura delle SS, prese vita quasi un mondo parallelo, creandosi un complesso di attitudini che, in effetti, riguardarono i diversi aspetti dell’esistenza secondo vie inusuali. Una “rivoluzione dei corpi e degli spiriti”, si è detto il tentativo SS di dar vita veramente, entro istituzioni a metà strada fra l’ordine monastico e il reparto militare, a un tipo nuovo e più affinato di uomo. Struttura autonoma rispetto alle altre istituzioni dello Stato nazionalsocialista, in possesso quasi di uno statuto di privilegiata indipendenza, le SS, che nello scorrere degli anni diventarono anche una potenza economica proprietaria di concentrazioni industriali non trascurabili, rinnovarono la tradizionale sensibilità della civiltà germanica verso la comunità popolare, inaugurando una diversa e più radicale visione del mondo: «Indipendenti dall’esercito, crearono un nuovo “atteggiamento guerriero”, distinti dal Partito, un nuovo “atteggiamento ideologico” e, lontani dalla Chiesa, un nuovo “atteggiamento spirituale”». Degrelle aggiungeva nella sua prefazione che, in tal modo, «l’equilibrio, anche là, si sarebbe ottenuto tra un paganesimo storico che alcuni intendevano resuscitare e la vita mistica». Le SS ebbero consapevolezza di rappresentare una sorta di rivoluzione spirituale, e di questo troviamo ripetuta traccia nelle loro pubblicazioni. Ad esempio, nel ricostruire il legame dell’uomo con la natura, rinsanguando le antiche vene di panteismo, rafforzando i riti di legame, le cerimonie popolari riferite ai cicli astrali, i solstizi, le feste di Ostara e di Jul, etc. si intendeva operare una profonda correzione della tendenza moderna verso la laicizzazione profana e l’oscuramento del sacro. Con risvolti minori, ma non tanto, che sono significativi di un approccio sereno e per nulla torbido o ambiguo agli aspetti della vita, e a volte anche mollo attuali. Come la ben nota spinta ecologista, che traspare da interventi intitolati., ad esempio. “La foresta come comunità di vita”. O come un articolo del 1941, in cui si raccomanda l’uso dell’acqua minerale di una certa sorgente sudeta priva di additivi artificiali, vantandone i poteri curativi; oppure come un pezzo del 1937 a firma di Gunther d’Alquen (nome di punta delle SS, redattore-capo della rivista “Das Schwarze Korps”), in cui si elogia lo spirito intimistico e si definisce l’umorismo una necessità e una virtù, aggiungendo che era stato addirittura «una delle armi essenziali nella lotta per la presa del potere». Sfogliando i numerosi articoli raccolti dalla Thibaut. corredati spesso da foto dell’epoca, invano si troverebbero i bolsi richiami “satanisti” oppure “occultistici” che oggi vanno tanto di moda nella generale paccottiglia ad alta tiratura che si occupa delle SS: tutto all’opposto, ciò che domina è uno spirito positivo, volti aperti e allegri, e una grande fiducia nel futuro.

Poi ci sono i temi-forti dell’ideologia rivoluzionaria. Tra questi, un posto di rilievo è occupato dall’europeismo.

Un ideale dalle SS non solo vagheggiato, ma messo in pratica attraverso il combattimento, e per il quale presero le armi molti volontari di quasi tutti i Paesi d’Europa, arruolatisi sotto le insegne della doppia runa. Tanti popoli affini, stretti attorno al grande magnete centrale, la Germania, polo d’attrazione delle patrie europee: questo il nòcciolo della nuova idea di Impero. Un giovane collaboratore olandese, in un numero dei “Leitheft” del 1943, scriveva che «la parola solidarietà è adatta all’Europa. Questa forma un tutto, ha dei nemici comuni, non può esistere fino a quando non si manifesti un sentimento di coesione e fino a quando essa non inizi a diventare solidale». Ammettiamolo: una bella lezione di vero europeismo popolare impartita, a distanza di quasi settantanni, a quella cosca di usurai cosmopoliti che usurpa oggi il nome d’Europa.