Dal numero agosto settembre 2011 de “Il Borghese” che ringraziamo per questa inaspettata recensione.
AA.VV.
Il socialismo tedesco al lavoro
Thule Italia Editrice
Pp.221-€25
Ebbene si: un socialismo nonmarxista, dalla parte dei lavoratori. Equo e solidarista, ma non per questo assistenzialista o indistintamente «sociale». Esso è esistito, anche se oggi – all’indomani del tramonto delle grandi ideologie del passato più, o meno, recente – si può stentare a crederci. Fu il socialismo tedesco: un nome che, ai più, non dirà molto.
Ed è per questo che, a decenni di distanza, non possiamo ulteriormente perseverare nel mancare di entrare in contatto con le fonti dirette dell’epoca: come, invece, questo libro ci consente di fare, anche grazie al bel saggio introduttivo di Maurizio Rossi.
Checché se ne dica e pensi in merito, infatti, è innegabile che la «via tedesca al socialismo» – quella vera e autoctona – fu il tentativo di sproletarizzare il popolo tedesco da un lato, coniugato con un nazionalismo che ambiva a sproletarizzare la nazione dall’altro. E porsi questo obiettivo ove Marx e il marxismo avevano i loro natali, nonché il loro più grande ascendente nel mondo, non doveva certo essere operazione facile o poco ambiziosa.
Volendo qui tralasciare gli altri ambiti ed aspetti del fenomeno nazionalsocialista – non essendo questa la sede per una sua indagine a tutto tondo – quel che qui importa è sottolineare il principale carattere che traspare dal libro: cioè che il Nsdap e le sue organizzazioni, furono in grado di creare una «mentalità» ed una «prassi» socialista. Non tanto nuovi disegni teorici o sterili dogmi da ripetere a memoria: ma, una prassi quotidiana che, nata dal popolo e già in esso presente poiché conforme al carattere tedesco, dal regime venne alimentata e attuata a livello sistemico.
Troppo spesso di «socialismo» se ne era parlato. Lo si era eretto a sistema, a caposaldo, infine ad obbiettivo rivoluzionario. Ma, i fatti, sembravano affermare il contrario: la rivoluzione socialista che. secondo il materialismo storico, avrebbe dovuto realizzarsi in Germania o Inghilterra, avvenne nella Russia zarista. È dunque andata esattamente così? Non è vero, potremmo rispondere oggi, perché anche in Germania si ebbe una rivoluzione in tal senso: ma con forme e carattere del tutto diversi. Nonostante ciò, potremmo definirla, per questi motivi, «non-socialista»? Niente affatto. La vera differenza, è che il socialismo in Germania fu attuato, come una diversa e totale «cultura della partecipazione», come pure è stato scritto da Luca Leonello Rimbotti, fondato su di un’etica del volontariato. Un socialismo della tradizione e contemporaneamente della massima efficienza, per riprendere un altro bel concetto centrato sempre da Rimbotti. Altrove, di socialismo se ne discusse molto, elevandolo ad una sorta di elisir per ogni male della società contemporanea: ma, sempre mantenendolo – per forza di cose, vista la sua formulazione a dir poco «utopica», in salsa marxista – al solo livello teorico o embrionale. In Germania, l’obbiettivo dell’elevazione materiale e della maturazione sociale dei lavoratori fu un risultato raggiunto: e sono i dati statistici di quegli anni a parlare. Ma, al centro d’un socialismo di questo tipo, non poteva più stare l’uomo sorto dalla mediocrità dell’Ottocento. Doveva essere un uomo che se ambiva ad essere veramente «nuovo» – secondo un concetto molto in voga, allora, in tutte le cosiddette «rivoluzioni nazionali» – doveva imparare ad uscire dalla logica dell’homo economicus: nella sua accezione marxista, così come in quella democapitalista. Tornare ad essere «tedesco», era dunque l’obbiettivo.
Questo testo, per la prima volta tradotto in italiano, ci presenta dunque, senza tralasciare i più significativi particolari, il socialismo realizzatosi all’insegna del cosiddetto Terzo Reich. Ma, quella che potrà sembrare ad alcuni un’operazione vanamente nostalgica – al di là dei giudizi che possono essere dati a quella pagina di storia tedesca (e mondiale) – ovvero la pubblicazione di questo libro, è in realtà un contributo al riconoscimento dell’anima autenticamente «socialista» del nazional-socialismo: così come già fatto da storici qualificati e dalle origini tutt’altro che affini a qualsivoglia etichettatura «filo-nazista». Il libro, infatti, è una sorta di summa del pensiero socialista del regime. Contiene contributi di notevole interesse, come quello del ministro Darré, nonché di alti vertici delle istituzioni del tempo.
Nel caso si nutrano dubbi sulla validità del ritorno alle fonti originali per la comprensione del fenomeno, si vadano allora a riprendere le pregevoli pagine dei saggi e degli studi di studiosi dell’importanza di un Delio Cantimori per capire quanto, già al tempo, la portata innovativa del Deutscher Sozialismus colpì l’immaginario e l’opinione dei più importanti pensatori italiani dell’epoca: non necessariamente «fascisti».