Gottfried Feder e il programma della Nsdap
di Luca Leonello Rimbotti
[singlepic id=56 w=320 h=240 float=left]In occasione del congresso del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi del 1926, Gottfried Feder – ingegnere e studioso di economia finanziaria, tra i primi compagni di lotta di Hitler – ricevette l’incarico di dare l’avvìo ad una serie di pubblicazioni a larga diffusione, in grado di coprire tutti gli aspetti ideologici e di portarli alla conoscenza del grande pubblico. Questa operazione iniziò l’anno seguente con l’uscita del primo dei numerosi quaderni divulgativi previsti, che riguardava l’illustrazione dei 25 punti con cui la NSDAP aveva steso il proprio programma politico sin dal febbraio 1920. Si contava, così, di affrontare nel modo migliore e più chiaro la questione della sostanza ideologica nazionalsocialista, specialmente in riferimento a quella che veniva considerata una specie di “rivoluzione copernicana”, cioè l’accento posto sulla funzione distruttiva che l’interesse sui prestiti di capitale aveva presso vaste fasce popolari, a cominciare da quelle del ceto contadino. Il problema del progressivo indebitamento dei rurali tedeschi era di antica data. Esso costituì un vero caso sociale di grandi proporzioni, e non fu secondario in quel fenomeno di inurbanesimo e abbandono delle campagne in cui uomini come Spengler avevano visto una delle cause dello sbriciolamento sociale della Germania e del suo sradicamento dalla cultura locale tradizionale. In effetti, il meccanismo in base al quale molti piccoli e medi proprietari fondiari, una volta chiesto il necessario credito per reinvestire nella produzione e vistoselo gravare dal tasso esorbitante di interesse, applicato in forme a crescita esponenziale, non riuscivano a sottrarsi altrimenti a questo cappio se non vendendo la terra e declassandosi a proletariato urbano, fu alla base di mutamenti sociali di vasta portata. Essi ingeneravano disperazione sociale e destabilizzazione economica, sottraevano famiglie e poderi all’agricoltura già in crisi dall’epoca guglielmina e mettevano in moto il fenomeno della speculazione fondiaria, un settore in cui le banche e le imprese finanziarie – spesso a guida ebraica – agirono da elemento di scompaginamento socio-economico.
Ciò che, negli anni Venti del Novecento, fu ad es. alla base del costituirsi di organismi come la Landvolksbewegung, intesi a proteggere la categoria dei contadini proprietari dal crescente esautoramento cui era sottoposta. In determinate zone della Germania, quella organizzazione, sostenuta dal nazionalismo rivoluzionario, espresse fenomeni di combattivo antagonismo (fino a cruenti episodi di terrorismo) nei confronti dei vari governi di Weimar, incapaci di porre un freno alla disintegrazione del ceto contadino.
Non desta meraviglia, pertanto, che il fulcro del programma della NSDAP, incentrato sull’opposizione all’usura secondo la celebre formula, stesa dallo stesso Feder, della “liberazione dalla schiavitù dell’interesse”, torni nella pubblicazione del 1927 – poi parecchie volte riedita negli anni seguenti – come centrale rivendicazione di carattere sociale. Adesso, la dinamica Editrice Thule Italia pubblica il libro di Gottfried Feder per la prima volta in traduzione italiana nella sua edizione del 1933, Il Programma del NSDAP e le sue fondamenta ideologiche. I testi comprendono, oltre all’originario programma, anche agili ed esaustivi commenti, stesi da Feder in epoche diverse, intorno alle singole questioni, in una maniera che doveva servire da chiara illustrazione per la massa dei membri del Partito e per quanti erano interessati a conoscere la posizione della NSDAP in materia politico-sociale.
Feder dovette insistere in modo particolare sul fatto che la NSDAP non pensava a sopprimere la proprietà privata e che il punto in cui il programma prevedeva l’esproprio riguardava unicamente i casi di cattiva gestione, di proprietà ebraica o di acquisto illegale. Dal punto di vista storico, è interessante questa puntualizzazione, poiché da svariate fonti all’epoca si attribuiva al Nazionalsocialismo una volontà espropriatrice di tipo quasi “bolscevico”. Al contrario, scriveva Feder, «la proprietà dei terreni acquisita legittimamente dai cittadini tedeschi sarà riconosciuta come bene ereditario. Questo diritto di proprietà sarà però subordinato all’obbligo di utilizzare il suolo a beneficio di tutto il popolo. Il controllo del rispetto di tale obbligo sarà competenza dei tribunali corporativi». Questi punti, a Terzo Reich insediato, divennero legge dello Stato e furono alla base di quel fenomeno di protezione della fattoria contadina – conosciuta come Erbhof, il podere ereditario – che voleva evitare la frammentazione fondiaria e incrementare la consistenza sociale del ceto rurale, nel quale il regime vedrà il bastione della società sotto tutti profili: nazionale, familiare, razziale, produttivo.
In ogni caso, queste misure andavano nel senso di favorire un uso non privatistico del bene personale, ma di incentivarne la produttività come elemento di diffusione del benessere generale, secondo il principio fondamentale in base al quale “il bene comune viene prima i quello individuale”. Spiegando i 25 punti programmatici nel dettaglio, Feder affrontava il suo fiore all’occhiello, la lotta all’interesse usurario, spiegandolo come la «liberazione dello Stato e così del popolo dal suo indebitamento tributario di fronte ai grandi capitali usurai». Ciò avrebbe comportato alcune misure senz’altro rivoluzionarie e del tutto sovversive dello Stato liberale: «Nazionalizzazione della Reichsbank e delle banche di emissione; finanziamento di tutte le opere pubbliche, evitando il ricorso al prestito pubblico mediante l’emissione di certificati fruttiferi del Tesoro senza interessi; introduzione di una valuta fissata su base coperta; creazione di una Banca per l’edilizia e l’industria (riforma monetaria) per concedere prestiti a tasso zero; modificazione radicale del sistema fiscale secondo il principio dell’economia comunitaria». Attorno a queste misure, si sarebbe dovuta quindi cementare quella comunità nazionale e sociale svincolata dai poteri forti della finanza internazionale, che costituì uno dei punti di maggiore originalità ideologica del Nazionalsocialismo, ciò che ha spinto gli storici ha considerare la politica sociale hitleriana un rivoluzionamento degli assetti capitalistici, anche per il fatto che agli imprenditori, pur lasciando loro la proprietà nominale, come ha scritto Zitelmann, veniva tolto di fatto «il potere di disposizione sui mezzi di produzione», secondo una linea manifestata da Hitler che era intesa a «perseguire i suoi obiettivi anche contro la resistenza di settori dell’industria pesante».
Leggendo questo importante testo di Feder noi quindi, oggi che il mondo va a passo di carica nella direzione opposta, quella dell’abbattimento di ogni contrasto sulla via del potere assoluto della finanza cosmopolita, verifichiamo lo sforzo attuato in Germania per abbinare il sentimento nazionale e la giustizia sociale, nella direzione della concezione organica della comunità popolare, sia nella sfera del mondo della produzione agricola sia in quello della produzione industriale e del commercio. In questo modo, infatti, come sottolinea Maurizio Rossi nella sua introduzione ai testi di Feder, «l’individuo diventava membro a tutti gli effetti di un corpo organico e integro, ma differenziato, a seconda delle proprie capacità e funzioni, partecipando così allo sviluppo di una esistenza qualitativamente superiore fondata su una realtà di popolo finalmente concepita come una comunità socialista organica».
E di organicismo per l’appunto si parlava, e al senso di ordine platonico si riferisce Feder, come di un insieme di parti armonicamente funzionanti, essendo ognuna al proprio posto e tutte partecipanti al fine del benessere comune. Sembra incredibile, ma l’ideale dello Stato ben ordinato vagheggiato da Platone, se mai fu vicino ad essere eretto da qualche parte e in qualche epoca, lo fu nella Germania nazionalsocialista del Novecento.
Tratto da Linea del 5 marzo 2011.