Il Borghese – gennaio 2018

Savitri Devi

Pellegrinaggio

Savitri Devi, nata Maximiani Julia Portas, è stata una figura molto particolare di intellettuale e di militante politica. Sin da giovanissima molto interessata allo studio, aveva un’ottima conoscenza della filosofia, della storia delle religioni e soprattutto delle lingue (parlava correntemente italiano, francese, inglese e, nel corso degli anni, apprese anche il tedesco, l’islandese, il bengali e l’hindi). Nacque nel 1905 da madre inglese e padre greco-italiano. Fu subito attratta dai testi dell’antichità greco-romana al punto da avvicinarsi alla religiosità indoeuropea e, in seguito, studiò anche la religione induista. Si laureò in Lettere nel 1928 a Lione. Sensibile all’eredità ellenica, sostenne anni dopo che la Grecia «ha rappresentato una civiltà di ferro, radicata nella verità; una civilizzazione che possedeva tutte le virtù del mondo antico e nessuna delle sue debolezze, tutte le realizzazioni tecniche della modernità senza l’ipocrisia, la meschinità e la miseria morale dell’età moderna».

Viaggiò per il Medio-Oriente cercando sopravvivenze archeologiche e culturali delle religioni pagane finché non si stabilì in India nel 1936 e assunse il nome di Savitri Devi, in onore alla religiosità induista. Conobbe Swami Satyananda e visse insegnando storia indiana e inglese in una scuola di Nuova Delhi; tradusse testi filosofici in lingue europee per diffondere il messaggio indù. Credeva (sulla scia di una concezione diffusa in quegli anni in India) che Hitler fosse l’avatar occidentale del dio Vishnu giunto per instaurare l’ordine tradizionale accelerando i tempi del Kali-Yuga o età del ferro, e passare all’età dell’Oro, secondo la dottrina delle quattro età della Tradizione indoeuropea. Frequentò le caste più aristocratiche e conobbe il bramino Asit Krishna Mukherji. La seconda guerra mondiale scoppiò in Europa e di conseguenza le attività filotedesche furono proibite in India dagli occupanti britannici. Sospettata di simpatie nazionalsocialiste, Savitri Devi diventò cittadina britannica grazie a Mukherji, che la protesse con un matrimonio «bianco» celebrato nel 1940. Lei e il marito parteggiavano per l’Asse e l’andamento della guerra la spinse a tornare in Europa. Dopo otto anni in India, Savitri Devi partì per l’Europa con un passaporto inglese. Nel 1944 attraversò una Francia distrutta e nel mirino degli alleati.

Savitri Devi continuava la sua ricerca dei sentieri della Tradizione per ricostruire un’Europa sull’esempio indoeuropeo dei Veda. Nel corso delle sue peregrinazioni in Occidente, per lavoro o per incontrare amici che la guerra e le vicende della vita aveva allontanato, andò in Islanda, in Svezia, in Inghilterra e in Germania dove venne arrestata nel 1948 con l’imputazione di «propaganda nazionalsocialista». Fu condannata a tre anni di detenzione ma dopo sei mesi fu rilasciata grazie all’intervento del marito. Nonostante una proibizione a entrare nel territorio tedesco, verso la fine del 1952, con un passaporto falso, entrò in Germania e poi in Austria per visitare i luoghi della giovinezza di Hitler. Una sorta di pellegrinaggio, quasi mistico, segreto, anche interiore, nei luoghi che ebbero un ruolo di primo piano negli anni Trenta e nel periodo bellico: da Linz a Braunau sull’Inn, da Berchtesgaden all’Obersalzberg a Monaco a Landsberg a Francoforte, a Norimberga. La pubblicazione in italiano di Pellegrinaggio (per la prima volta pubblicato in India nel 1958), non soltanto consente di avere un’idea di quello che erano le città attraversate da Savitri Devi pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma anche di conoscere dal punto di vista ideologico e psicologico le posizioni di Savitri Devi che costruì una sorta di gnosi con spiccati riferimenti all’Induismo e con un’evidente opposizione al mondo moderno dove manca il sacro e trionfa il materialismo. Tornò in India, sua terra prediletta, all’età di sessantacinque anni ma dopo tre anni tornò in Europa. Fu sempre fedele alla Tradizione e alle origini indoeuropee dell’Europa. Comprendendo la Tradizione nella sua accezione più ampia, senza implicazioni nazionalistiche o di parte, testimoniò con la propria esistenza un profondo «sentire pagano».

MANLIO TRIGGIANI